Allenare per tanti è un desiderio, per qualcuno un bisogno. Dare consigli ed essere ascoltati regala un piacere a cui pochi resistono.
Ma allenare è un gioco a 2: da una parte c’è colui che è chiamato a guidare, dall’altra c’è chi deve credere e seguire. Ed é un gioco che ci vede impegnati, tutti, in entrambe i ruoli: genitore, insegnante, allenatore o amico… a tutti nella vita capita di essere chiamato a dare o a chiedere un suggerimento.
Dopo 30 anni di questo lavoro la mia vita di allenatore è più bella, più gratificante e più autentica grazie a questi tre concetti cardine che cerco di vivere e trasmettere tutti i giorni:
- La buona riuscita dell’allenamento è il risultato dell’interazione tra chi allena e chi viene allenato: senza l’aiuto del mio allievo faccio poca strada e la mia competenza è solo una parte di quello che serve per risolvere un problema.
Perché l’allenamento serve a risolvere un problema – dal correre più veloce al calciare meglio, dal ridurre lo stress a guarire il mal di schiena; ma sono tutte situazioni che richiedono l’impegno intenzionale e consapevole dell’allievo affinché la competenza dell’allenatore abbia successo. - Tutta la vita è allenamento e ogni comportamento che mettiamo in atto ci modifica se ripetuto: correre tutti i giorni 10 km, stare seduti 8 ore, litigare con il collega. Ci adattiamo e trasformiamo continuamente, quindi possiamo pensare all’allenamento come ad una forma di adattamento intenzionale e consapevole.
- Se vuoi risolvere un problema con l’allenamento devi chiarire prima a te stesso e poi al tuo allenatore qual è il tuo obbiettivo, perché la tua motivazione è alla base del risultato che otterrai e se sai dove vuoi arrivare il raggiungimento del tuo obiettivo non sarà un sacrificio ma un percorso positivo di crescita.
E quando il tuo obbiettivo è il benessere, il tuo “stare meglio“, allora allenarsi diventa un piacere.